Per leggere bene i testi si consiglia di vedere il video in HD. I reggimenti di Cavalleria " Re ", " Regina " e " Principe ", ai quali poi si aggiunse il "Napoli " (in tutto circa duemila uomini, comandati dal generale Alessandro Filangieri, principe di Cutò), si distinsero in modo particolare nella campagna d'Italia del 1796, tanto da richiamare l'attenzione dello stesso Bonaparte che li chiamò, per i loro candidi mantelli, "i diavoli bianchi ". Con la loro tempestività e il loro valore, essi salvarono, dopo la vittoria francese di Lodi del 10 maggio 1796, l'armata austriaca in ritirata. Napoleone ne rimase impressionato al punto da essere spinto a concludere l'armistizio di Brescia con il re di Napoli. Lo scrisse al Direttorio e lo ripeté all'ambasciatore di Francia in Toscana, Miot, dicendogli testualmente: " I Napoletani hanno quattro eccellenti reggimenti di Cavalleria che mi hanno cagionato molto danno e dei quali mi sta a cuore sbarazzarmi al più presto! ". Non prevedeva certo che pochi anni dopo, prima il fratello Giuseppe e poi il cognato Murat avrebbero portato le trionfanti aquile napoleoniche sul trono di Napoli e che quella stessa Cavalleria lo avrebbe valorosamente servito nella tragica campagna di Russia. L'esercito del Regno di Napoli, che durò dal 16 febbraio 1806 al 20 maggio 1815 e di cui furono re, come si è detto, prima Giuseppe Bonaparte, fino al 15 luglio 1808, e poi Gioacchino Murat fino al 20 maggio 1815, fu pari e talvolta superiore a quello del Regno Italico per numero di corpi, qualità, valore e anche per l'eleganza delle uniformi. In particolare Murat, che era ed è ancora famoso per la sua grande passione per l'abbigliamento militare, si dedicò personalmente alla progettazione di alcune di esse, specialmente per i corpi della Guardia e della cavalleria in genere. Dell'esercito del periodo di Giuseppe sappiamo ben poco e per quello di Murat molte sono ancora le lacune e le perplessità. In genere, per ricostruirne le uniformi si risale alla raccolta di acquarelli del pittore Orlando Nori, conservati al Museo di San Martino di Napoli. Egli li dipinse nella seconda metà dell'Ottocento, in base ai ricordi di vecchi soldati di Murat. Altre fonti sono le opere di Lienhart e Humbert e quella del Knotel. Ma è ormai certo che contengono varie inesattezze. Fonti essenziali restano i decreti, le ordinanze e i regolamenti dell'epoca, cioè la documentazione ancora ricavabile dall'Archivio di Stato di Napoli; il quale, purtroppo, ha subìto nel corso della sua esistenza distruzioni e dispersioni varie, tra cui, decisiva, quella segnalata dal noto uniformologo francese Forthoffer: durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana un reparto di Tedeschi, giunto da Roma, prelevò gran parte della documentazione della Sezione " Guerra e Marina " dell'Archivio di Stato di Pizzofalcone e in particolare proprio il materiale riguardante le ordinanze e i regolamenti relativi alle uniformi dell'esercito del periodo murattiano. Ciò perché, si dice, a un'alta personalità del Terzo Reich (forse Goering) interessava moltissimo tutto ciò che si riferiva a tali uniformi.